Io non sono arrivato.

BANKSY

L’acqua è fredda. Me l’aspettavo, ma il mio corpo non era preparato. Sento l’adrenalina entrare in circolo, i muscoli contrarsi e le pulsazioni aumentare, cerco di capire cosa stia succedendo intorno a me. Muovo le braccia come facevo da bambino al lago Qattineh quando mio fratello voleva insegnarmi a nuotare, mentre il fragore del mare sovrasta le grida. D’un tratto avverto una pressione sulla spalla sinistra e dei gesti convulsi. Non faccio in tempo ad inspirare. Vado giù.

Fa caldo. Una lama di luce entra da non so dove, forse da una fessura del portellone del tir, e le orecchie mi fanno male. Vorrei coprirle con le mani ma non posso muovermi. Ho i crampi ad una gamba e non posso muovermi. Vorrei intimare a tutti di stare zitti e di smetterla di gemere. La donna alla mia destra soffoca un singhiozzo disperato e avrei voglia di schiaffeggiarla; quella alla mia sinistra tiene il collo in iperestensione per agguantare più aria possibile dall’alto. La maglia lacera mi si è incollata alla schiena fradicia di sudore e provo quasi disgusto per il tanfo che si avverte nell’aria. Eppure siamo tutti figli della stessa terra. Ho la gola secca, mi fa male, vorrei gridare. Faccio respiri corti e agitati, non posso muovermi. Non posso.

Il mio volto riaffiora in superficie e prendo aria disperatamente. Comincio ad ansimare e scalcio per salire ancora, allontano chiunque sia intorno a me con dei colpi alla cieca. Il mare è mosso, un’onda mi ributta giù di nuovo e l’acqua mi brucia la gola e mi entra nei polmoni. Tengo gli occhi serrati e la mascella contratta. Sott’acqua qualsiasi rumore è ovattato e attutito e invece quando torno su sputacchiando e tossendo ogni suono esplode intorno a me. Sono stordito. Provo a mettere in pratica tutte le lezioni di nuoto che mi ha dato mio fratello e riesco a rimanere a galla: una foglia strappata dal vento in balìa dell’occhio di un ciclone. Cerco convulsamente la barca con lo sguardo.

Ho sete. Ho caldo. Mi manca l’aria. Siamo schiacciati e pressati come animali da macello. Questa è l’immagine più appropriata per descriverci: bestie in fuga che non hanno diritto alla dignità. Il ragazzino a pochi millimetri dalla mia clavicola ha la bocca spalancata e le labbra spaccate. Ha le palpebre semichiuse e vedo il bianco impressionante dei suoi occhi. È disidratato, sì mi sembra che abbia estremo bisogno di acqua. Di acqua non ne abbiamo. Ho perso la concezione del tempo, non posso muovermi, non c’è un buon odore nell’aria. Non riesco a muovermi.

Il barcone è lì, innocuo e placido, come se stesse aspettando con calma che salissimo. Sembra ancora una possibilità di salvezza ma sta scendendo impercettibilmente verso il basso, affonda secondo dopo secondo mentre viene sballottato dalle onde. Intorno a me il rumore del mare mosso e grida. Tutti gridano e chiamano dei nomi o emettono esasperati versi di panico. Il sole è tramontato e i miei occhi non distinguono bene i contorni e le figure che appaiono sfocate, quasi in preda a convulsioni. Per un attimo nuoto freneticamente verso la barca ma poi un gomito spuntato dal nulla mi spacca lo zigomo. Sento dolore, tanto, vorrei gridare, mi manca il fiato. State FERMI. Risparmiate energie e calore, controllate il vostro corpo. Mettete in moto quella merda di cervello che vi ritrovate.

Sento che la mia mente comincia ad allontanarsi. Voglio andare via, voglio uscire. La donna alla mia destra non singhiozza più, è immobile e ferma in una posizione innaturale da un po’, sembra quasi un manichino spezzato. Una bambola rotta. Non so da quanto tempo non la sento più lamentarsi. È così ridicola nella penombra che mi fa ridere. Vorrei ridere, mi esce un latrato strozzato. Mi chiedo se questo inferno avrà fine… Ho tanta sete. Il ragazzino disidratato ha abbandonato la testa su una spalla e ciondola seguendo i sussulti del camion, i riccioli sporchi e imbiancati di polvere. Faccio un leggero colpo di tosse, qualcuno respira affannosamente e qualcun altro ha la gabbia toracica compressa. Il mio naso non sente più odori. Guardo con più attenzione il ragazzino sfruttando la poca luce che entra dal fondo.

La costa non sembrava lontana. Ma ora con l’avanzare dell’oscurità non so più in che direzione sia. Nuvoloni neri si avvicinano e si accumulano sopra di noi ad oscurare gli ultimi residui di tramonto. Cerco di rimanere a galla con il minimo dispendio di energie, di isolarmi dal caos e dalle urla, combatto contro l’impulso di piangere e provo a rilassare il diaframma. Qualcosa mi pungola la schiena, fletto il collo e vedo un corpo riverso che viene sospinto dalle onde. Immobile. È un cadavere qui nel mare, uno dei tanti, non respira e non lo farà mai più.

Credo sia entrato in uno stato comatoso, forse a malapena respira. La mancanza di acqua ci sta condannando a morte, la sudorazione ci ha fatto perdere troppi liquidi, non abbiamo idea di quando usciremo da qui. Qualcuno probabilmente è già morto, qualcuno ha avuto crisi di panico, qualcuno si è semplicemente rassegnato a morire come feccia umana e aspetta mestamente la sua ora. Non so se era peggio prima, o se è peggio questo.

I soccorsi staranno arrivando, ne sono certo. Devo solo resistere e dimenticarmi del freddo, della stanchezza, del dolore, della barca, del mare mosso e gelido. Devo solo resistere. Non ho l’energia né le capacità necessarie per aiutare gli altri. Qualcuno nuota nella mia direzione, o meglio muove le braccia in modo disordinato, forse non sa nuotare. Urla qualcosa, mi raggiunge, non faccio in tempo a scansarmi, si aggrappa, mi sento spingere giù. Vado giù. Affogo.

Non sono più lucido, il mio corpo chiede pietà e mi fa male il cuore. Non so più da quanto tempo siamo qui dentro, pensavo fossero 15 ore invece sono mesi, anni, secoli, è un’eternità. Spero che finisca presto. Non so cosa, ma spero finisca. Qualcosa, questa cosa, tutto. Morire mi va bene, tanto le speranze non le voglio più. Aspetto. Ad un tratto nel mio delirio confusionale mi sembra di vedere una luce improvvisa e di udire delle voci, qualcosa si muove e tutto diventa bianco però forse sono solo allucinazioni… Sapete che vi dico, non mi importa: che finisca così.

Inghiottisco acqua salata e ho un conato di vomito. Mi agito, qualcosa continua a fare pressione su di me e a tenermi sott’acqua. Tossisco: grande errore. Le ultime riserve di ossigeno si liberano in mare sotto forma di piccole bollicine impazzite. Apro la bocca, il peso di un corpo mi impedisce di risalire in superficie, bevo e deglutisco altra acqua. Le bollicine schizzano via verso l’alto e io provo ad afferrarle e a seguirle. Mi brucia il petto e il mio cuore batte all’impazzata: grande problema. Il muscolo di una gamba si contrae in preda ai crampi e io inarco la schiena per il dolore: altro grande problema. Provo a lottare per liberarmi, per uscire fuori e poter respirare. Non ce la faccio… In fondo non conto nulla. Vorrei che mio fratello fosse qui, vorrei che venisse a salvarmi, che tendesse una mano dalla superficie. Vorrei che mi agguantasse e mi tirasse su e mi facesse respirare. Vorrei che mi portasse a riva. È così bravo a nuotare… Mi sembra di singhiozzare in cerca di aria, non capisco più dov’è il sopra e dov’è il sotto. Fratello, salvami.

C’è silenzio ora, smetto di muovermi. Le mie braccia rimangono sospese perché in acqua è come se non ci fosse gravità. La forza che mi teneva giù è scomparsa ma io a mia volta non ho più le forze per risalire. E allora, decido. Smetto. Mi lascio cullare un po’ dal mare e poi lentamente scompaio. Il mio cuore si ferma. Ci abbiamo provato. Io non sono arrivato. Io non sono.

Io non sono arrivato, mamma,

Ma non dirlo ai miei fratelli, né alle sorelle, né a papà.

Di’ loro che sono arrivato in quel posto

Di cui ci parlava tanto il nonno nelle sue lettere,

Dove i carri armati trasportano acqua

E le pallottole servono per giocare

Dove lui diceva che non mancava il pane

Né i soldi per pagare

Dove si continua a lottare

Per un mondo migliore.

Di’ loro che vivo in Italia

E che la mia imbarcazione non è naufragata.

[ Frédéric Gircour ]

migrantiQuesto non vuole essere un post di polemica né di espressione di giudizio parziale. Vuole essere una denuncia e uno strumento di sensibilizzazione, un’occasione di riflessione. Una fotografia. Dopo aver letto notizie sui quotidiani e articoli online, sono rimasto turbato dall’argomento e dal tema dell’emigrazione. Sconvolto dall’enorme flusso di profughi, dalle morti, dagli episodi di evacuazione, dalle proteste, dalle polemiche e dall’agitazione generale di questi ultimi mesi. La disperazione la trovi nelle lamiere, nel vano motore di una macchina in cui era nascosto un migrante proveniente dalla Guinea (Qui l’articolo sul Fatto Quotidiano). Il corpo di qualcuno incastrato nel cofano anteriore: è talmente assurdo che faccio fatica anche ad immaginarlo. La disperazione la trovi in un bambino chiuso e ingabbiato nella valigia di un traghetto nel tentativo di passare la frontiera. In una valigia! Abitano sul nostro stesso pianeta e respirano la nostra stessa aria, siamo tutti figli di una Terra sola eppure queste cose accadono. Voi che cosa ne pensate?

Ho provato solo per un attimo a calarmi nei loro panni (impresa ardua e forse impossibile per noi Europei pasciuti e fortunati) e ho voluto fotografare un momento di tragedia che non è così remoto come possiate pensare. Questo post è una pennellata di una tela molto più complessa e composita. I migranti fuggono, scappano via dalla guerra, dalle violenze, dalla fame e dallo sfacelo, nuotano o si contorcono in preda ad un irrazionale istinto di sopravvivenza. Scambiano una morte sicura con il rischio di una morte peggiore. Tra di loro ci sono delinquenti, così come il delinquente potrebbe essere il vicino di casa vostra.

Interroghiamoci sulle ragioni, sulle cause, facciamo tutti i tavolini di discussione che vogliamo, accusiamo l’ingiusto imperialismo europeo, critichiamo tutte le follie e le assurdità di culture diverse dalla nostra e atti stupidi e inumani (a ragion veduta, come ad esempio gli scempi e la distruzione di Palmira o le stragi di studenti innocenti o l’omicidio di persone mal viste da sacre scritture che però nessuno capisce che tanto sacre non sono). Critichiamo anche la religione che è l’oppio dei popoli come diceva il caro Marx. Ma questo, tutto ciò che sta accadendo, è un fenomeno dalla portata sconvolgente e di una difficoltà estrema. Perciò mettiamoci una mano sul cuore, e domandiamoci se è il nostro cuore in realtà ad avere barriere e frontiere.

[…] Amore, ne abbiamo?
Profondità di pensiero, ne abbiamo?
Intensità, ne abbiamo?
Onestà e lealtà, ne abbiamo?
Giustizia sociale, ne abbiamo?
Reale condivisione, ne abbiamo?
Rispetto per il prossimo in ogni situazione, ne abbiamo?

[ Cercatoredifavole, estratto del post sulla pagina Fb del 21 agosto 2015. Clicca qui per visualizzarlo. ]

D (Cercatoredifavole).


[ In apertura post, “L’UE secondo Banksy“, immagine utilizzata per lo sfondo della homepage della Comision Española de Ayuda al Refugiato (Cear) che accompagna una petizione per chiedere che le tragedie nel Mediterraneo finiscano. Proseguite qui per qualche suggerimento musicale dando un’occhiata alla sezione intitolata Soundtrack: scoprite quali sono le canzoni che hanno fatto da sottofondo a questo post.

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7 comments

  1. cdgiei · settembre 15, 2015

    Bello e terribile. Come il mare. Come un viaggio carico di avventure e speranze, ma senza la consolazione dell’arrivo. Come le tante parole altisonanti ed immobili che pronunciamo mentre lasciamo morire gente che non ha avuto la fortuna di nascere nei nostri panni (non ce l’ho con te… o meglio, ce l’ho con te, con me stesso, con tutta questa nostra società occidentale che ha ereditato il controllo di un equilibrio mondiale ingiusto e che sta facendo di tutto per lasciarlo come eredità ancora più impari alle future generazioni)

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    • D. (Cercatoredifavole) · settembre 15, 2015

      Sono d’accordo. Come le parole immobili che pronunciamo o scriviamo mentre ci muoviamo verso il lavoro o l’università e le solite vecchie preoccupazioni. Non so dove sia l’anello mancante, chi sia il fautore di questa eredità ingiusta, forse sono più persone e più epoche, ma di certo questo è un tempo di cambiamenti. La storia dimostra che attraversiamo continuamente dei cicli, magari ne arriverà presto uno dove regnerà più buon senso e amore per il prossimo. Intanto non dobbiamo attendere passivamente come una manna dal cielo che qualcosa cambi, ma avere noi stessi un atteggiamento diverso (e anche un pizzico di fiducia), che dici?

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      • cdgiei · settembre 15, 2015

        Assolutamente d’accordo. Nelle intenzioni, infatti, vorrei usare gli “sfoghi” come questo proprio per darmi una scossa 😉

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    • D. (Cercatoredifavole) · settembre 15, 2015

      Grazie per aver fatto una fermata a questo post e per il bellissimo commento 🙂

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  3. Simone Roma · settembre 2, 2015

    l’Italia cosa sta offrendo a questa gente? Li marchia come bestiame e li scaraventa in grandi edifici, spesso malsani, perché sono vacche da mungere a beneficio della grande criminalità che governa il paese, perché se non ve ne siete accorti l’intero paese è completamente in mano a grosse e raffinate bande di delinquenza organizzata che si affida a una classe politica imbelle e asina messa lì per ottemperare alle esigenze di chi, di fatto, detiene il potere. Mafia Capitale è un esempio su piccola scala del sistema paese: un capo di gabinetto del sindaco, assessori vari, il capo della polizia provinciale (!), un vicesindaco, presidente del consiglio comunale e via dicendo … L’Italia non è un paese dove far crescere i proprio figli, e nemmeno i pronipoti, parlando nelle università con giovani laureati consiglio a tutti di fare fagotto e andarsene a giocare altrove le proprie carte, almeno lì la competizione è ad armi pari. Di conseguenza ti chiedo: che tipo di immigrazione (profughi a parte, che sono comunque una esigua e impalpabile minoranza) è in grado di blandire e attrarre il sistema-paese Italia? La peggiore, naturalmente, la più infima, ignobile, accattona e, nel migliore dei casi, parassita. Chi ha voglia di lavorare onestamente, non parliamo poi di chi abbia un minimo di talento, di venire in Italia non ci pensa proprio, e del resto gli stessi italiani con un buon titolo di studio o un minimo di intraprendenza ed estro se ne sono già andati o hanno la valigia sul letto. Mi piace fare un esempio: in Germania la secondo etnia che esercita la professione di medico, dopo quella tedesca, è la rumena, beh, vi invito a trovare un medico rumeno che lavora in Italia, o un infermiere con uno straccio di qualifica professionale. No, dalla Romania arrivano qui solo strati sociali reietti o a spiccata inclinazione delinquenziale. Ora io, tornato da qualche anno nel mio paese, vedo gli ultimi brandelli di carne di un cadavere, non morto né malato, ma putrefatto e in via di decomposizione (altro che “ripresina”) dove gli ultmi grassi vermi del grande e piccolo malaffare banchettano tra le povere spoglie di una terra che solo 25 anni fa era fra le più floride e ospitali del pianeta e ora è ridotta a cloaca d’Europa, io sono CONTRO questa accoglienza ipocrita e indiscriminata, sono CONTRO il concetto di “migrante”, per me c’è solo il “profugo” che fugge da guerra e persecuzioni, a cui bisogna dare speranza e dignità, e l’ “immigrato” che viene qui con un regolare permesso di lavoro ottenuto facendo la fila nei nostri vari consolati (altra nota dolente) sparsi all’estero. Sono CONTRO gli alberghi di cartapesta che stanno sorgendo nottetempo nelle nostre sordide periferie dove si sa già che MAI un solo turista vi metterà piede, sono CONTRO questo sistema, questa classe politica ignobile e impresentabile, CONTRO le mafie che ci governano, CONTRO i mandanti, gli esecutori e i fiancheggiatori di quest’omicidio perfetto contro la società italiana. Se poi preferite fingere di commuovervi davanti alla signorotta griffata dalla testa ai piedi che dà un senso alle proprie vacanze postando su twitter l’abbraccio finto a un povero sfigato davanti a due potentissimi motori fuoribordo siete liberi di farlo. Ma per favore, non ditemi che sto generalizzando.

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  4. Giacomo · settembre 2, 2015

    “…domandiamoci se è il nostro cuore in realtà ad avere barriere e frontiere”. Caro cercatoredifavole, è proprio l’ultima frase del tuo post che mi fa riflettere. E pensandoci, quasi mi sconvolge. Siamo davvero (noi umani) caduti così in basso? La nostra mania di grandezza, la nostra invidia, l’ipocrisia, il “menefreghismo” , la cattiveria , il nostro “star bene”, la nostra avidità e il nostro egoismo, sono davvero cosi importanti da farci dimenticare che siamo tutti uguali? Siamo davvero così annebbiati e quasi indifferenti nel vedere certe immagini? Ultimamente, sembra proprio di si. Come dicevi, se ognuno di noi “abbattesse” le barriere che ha dentro e mettesse da parte pregiudizi e futili interessi (mi riferisco a chi, politicamente, ha più “peso”) , sicuramente le cose, col tempo, potrebbero migliorare. Bisogna partire da noi, dalla nostra voglia di cambiare e non aggrapparsi ai soliti “non mi riguarda”. Il Mondo non cambierebbe, ma di certo riflettere su certi argomenti e provare “empatia” per il prossimo, sarebbe già un buon punto di inizio. Siamo tutti fratelli e, come tali, ognuno è chiamato a prendersi cura dell’altro. E noi, più fortunati, abbiamo il DOVERE di accogliere e (con pazienza) cercare la soluzione migliore.

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